Nel 1496 appariva a stampa per la prima volta il termine “grottesche”, coniato probabilmente dagli stessi artisti per definire i diversi sistemi decorativi della pittura antica riscoperti nelle grotte romane. Sarà però Raffaello, nel secondo decennio del Cinquecento, insieme al fidato collaboratore Giovanni da Udine, a comprendere a fondo la logica di questi sistemi decorativi, riproponendoli organicamente, grazie alle sue profonde competenze antiquarie, per la prima volta nella Stufetta del cardinal Bibbiena (1516) e poi, sempre nell’appartamento del Bibbiena nel Palazzo Apostolico in Vaticano, nella Loggetta (1516-17), vera e propria prova generale per il grande ciclo di stucchi ed affreschi all’antica realizzato nelle Logge vaticane (1517-1519). Proprio la ricostruzione virtuale, in scala 1:1, della Stufetta del cardinal Bibbiena, ideata da Raffaello dopo un intenso studio delle decorazioni romane e realizzata dai suoi collaboratori (Giulio Romano e Giovanni da Udine), un ambiente celeberrimo ma sostanzialmente sconosciuto (perché situato in una zona dei palazzi vaticani inaccessibile al grande pubblico), costituirà uno dei fulcri di questa esposizione.
La secolare fortuna delle grottesche, in particolare nell’interpretazione fornita da Raffaello e dai suoi seguaci, può essere documentata anche sul lunghissimo periodo: alcuni dei massimi artisti novecenteschi, come Paul Klee e Alexander Calder, hanno infatti subìto il fascino delle grottesche antiche e rinascimentali. Saranno in particolare i principali esponenti del Surrealismo (Victor Brauner, Salvador Dalì, Max Ernst, Joan Miro, Yves Tanguy), a causa della natura fantastica,
irrazionale, sostanzialmente irrealistica, di questo sistema decorativo, a essere sedotti dall’“arte magica” delle grottesche, riproponendo ancora una volta, in chiave onirica e freudiana, quelle invenzioni capaci di scandalizzare il gusto dei classicisti e la falsa coscienza dei moralisti.
La proposta progettuale trae liberamente ispirazione dall’utilizzo della prospettiva rinascimentale ed in particolare degli “sfondati”, ovvero quel metodo pittorico che simula l’apertura di un vano nello spazio architettonico.
L’exhibit è caratterizzato infatti da metaforiche aperture di pareti e finestre, quinte velate che non nascondono l’architettura suggestiva della Domus Aurea, ma al contrario arricchiscono l’ambiente di superfici animate dall’effetto vedo-non-vedo.
Mise-à-distance dalle forme sempre diverse sono il supporto della narrazione digitale, per un racconto ingaggiante dove il visitatore è parte attiva nello svolgimento della storia.
Il linguaggio multimediale si alterna tra videomapping immersivi che ricostruiscono opere di Raffaello, animazioni, scenografie digitali che raccontano aneddoti sugli artisti del ‘500, arte generativa e morphing, archivi e collage digitali di elementi decorativi grotteschi e d’ispirazione surrealista.
Il visitatore fruisce i contenuti in un percorso libero tra i diversi ambienti, la cui interazione è studiata per essere intuitiva e immediata, caratterizzata da una coerenza di gestualità e consolle interattive eleganti perfettamente integrate con l’exhibit, che permettono al visitatore di vivere l’esperienza senza mediazioni.